Su Avvenire un’analisi teologica (di Rocco Buttiglione) della saga giunta al suo ultimo capitolo.
Ha senso fare una teologia di Harry Potter? A prima vista si direbbe di no. La creatrice di Harry Potter, la signora Rowling, non è una teologa e certamente la sua intenzione era semplicemente quella di raccontare una storia. Tuttavia di letture teologiche di Harry Potter ce ne sono state più di una. La prima è stata probabilmente quella di Gabriele Kuby che ha letto Harry Potter come una opera legata alla moda new age. Harry, dopotutto, è uno stregone ed i suoi libri non contengono nessun riferimento esplicito alla rivelazione cristiana.
In realtà i riferimenti new age toccano solo lo strato più superficiale della saga. Una lettura più attenta alle strutture narrative profonde del libro non tarda a scoprire numerosi riferimenti cristiani. Per cominciare la singolarità di Harry, quella che lo costituisce nel suo ruolo di personaggio, è la sua (relativa) immunità davanti alla magia. È per questo che il mago più potente e malvagio non riesce ad ucciderlo. Harry è protetto da un incantesimo di straordinaria potenza generato dall’amore della madre (e del padre) che hanno sacrificato la vita per lui. Troviamo qui il tema dell’amore che salva e non c’è amore più grande che dare la vita per quelli che si amano. Ritroveremo il medesimo tema alla fine del libro. Lì sarà Harry a dare la vita per salvare i suoi amici e per sconfiggere definitivamente il male. Ad Harry, però, la vita verrà restituita. Solo chi è capace di dare la propria vita la potrà salvare. Gesù è per eccellenza colui che dà la vita per i suoi amici. … → continua